28 dicembre 2008

La statua della libertà

Il mio racconto per il Premio Chatwin 2008


In un tiepido pomeriggio di aprile mi imbarcai sulla Queen Mary 2 dal porto di Southampton, lo stesso da cui avevano salpato la Queen Mary originale e perfino il Titanic. Questo viaggio a New York in nave mi era costato circa 1300 dollari, compreso il ritorno in aereo. Mi aspettavano sei giorni in mare su quella stessa rotta solcata in passato da milioni di uomini che si affidavano al mare per sfuggire alla fame, per cercare gloria, perché indesiderati.

Il cielo era sereno ed il mare tranquillo, mentre la nave si allonta­nava dal porto ammiravo le numerose imbarcazioni dalle fogge più disparate: mercantili, petroliere, navi da crociera, velieri e barchette varie.

Quando il Queen Mary 2 ebbe raggiunto il largo e non vi era più nulla di interessante da osservare lasciai il ponte e mi andai a pre­parare per la cena.
Il giorno seguente la navigazione proseguì senza nulla di rilevan­te, ogni tanto mi affacciavo alle balaustre per cercare di scorgere una nave, un’isola, magari un iceberg. Ma niente, intorno a noi solo il mare e mi sembrava un mare diverso da quello a cui ero abituato, L’Oceano Atlantico aveva un colore molto più scuro ri­spetto al mediterraneo e incuteva un certo timore.

Durante il terzo giorno di navigazione come mio solito me ne sta­vo affacciato alle balaustre osservando l’orizzonte in cerca di chis­sà cosa; il sax di John Coltrane mi entrava nell’anima attraverso gli auricolari del lettore mp3, era la colonna sonora perfetta per quello spettacolo infinito. Pensavo proprio a questo quando notai qualcosa che galleggiava sull’acqua; mi sporsi sulla balaustra cer­cando di sforzarmi il più possibile per mettere bene a fuoco quel­l’oggetto ma purtroppo l’altezza a cui si trovava il ponte rendeva arduo ogni mio tentativo. Notai una ragazza vicino a me, mi disse qualcosa ma non riuscii a comprendere nulla per via degli aurico­lari. Me li tolsi e notai che in mano aveva un piccolo binocolo da teatro, me lo porse e disse “guarda!” con una grande eccitazione nella sua voce. Presi il binocolo ringraziando un po’ impacciato, era davvero bella, indossava un vestitino nero attillato e delle bal­lerine, sempre nere. Si chiamava Rebecca ed era svizzera di Neu­chatel. Rimasi un po’ imbambolato, poi ringraziai e presi il bino­colo. Cercai di mettere a fuoco verso il punto dove avevo visto l’oggetto galleggiante. Era una specie di cartello di legno e nono­stante fosse abbastanza malmesso si poteva ancora leggere chia­ramente: Make Love, Not War. Non potei trattenere un sorriso, abbassai il binocolo dagli occhi e mi girai verso la ragazza, anche lei sorrideva, poi scoppiammo a ridere insieme.
Rebecca viaggiava da sola, come me, passammo molto tempo in­sieme sul ponte, sempre cercando di avvistare qualcosa nel mezzo dell’oceano.
Ed eravamo insieme quando la scorgemmo, il cuore ci batteva forte e ci abbracciammo, era una giornata limpida ed era lì bellissima, che ci attendeva: la statua della libertà.

Renato Biolcati Rinaldi
25 settembre 2008

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