20 giugno 2017

Jon Kalman Stefansson - I pesci non hanno gambe (Iperborea, 2013)



Recensione di un libro triste


Alla fine ce l'ho fatta a finirlo questo romanzo islandese, molte volte ho pensato di mollarlo ma sono riuscito ad arrivare fino in fondo. Perché tutto sommato è scritto bene e Stefansson ha una narrativa molto poetica (del resto ha pubblicato diversi libri di poesie). Ma è un libro triste, forse uno dei più tristi che abbia mai letto. Una storia famigliare (e del resto "Storia di una famiglia" è il sottotitolo). Ho avuto molte difficoltà a raccapezzarmi fra i molti personaggi, un po' per i nomi complicatissimi e poi per i continui flashback: a volte non capivo se stavo leggendo un episodio degli anni passati o contemporaneo. Non c'è una trama vera e propria ma un continuo di episodi (ovviamente tristissimi) e di flussi di coscienza. Della Scandinavia abbiamo un'idea romantica e un po' ingenua di paesi dove tutti sono felici e dove tutto funziona. Le immagini che ci arrivano dagli uffici turistici di queste nazioni sono tutte realizzate d'estate con il sole, la gente felice e paesaggi da sogno. L'Islanda di questo libro è un posto nero, dove fa sempre freddo, dove il lavoro è duro e il mare e gli agenti atmosferici sono continue minacce. Gli uomini sono sempre in mare a pescare e le donne rimangono sole ad aspettarli. E sono donne che impazziscono, cercano di suicidarsi o subiscono violenza. E a questo proposito l'episodio finale poi è talmente triste che fa perfino rabbia.

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