19 agosto 2011

Luciano Bianciardi - La vita agra

Dopo il post su "Il giovane Holden" di Salinger e "La Noia" di Moravia ecco un altro libro della serie "intellettuali misantropi che scrivono in prima persona". Ma se su Anobii al Giovane Holden ho dato quattro stelle, e a La Noia tre, a "La vita agra" di Bianciardi non riesco a dare più di due stelle. Innanzitutto non c'è una vera trama. Il protagonista è quest'intellettuale di sinistra che va a Milano col proposito di far saltare in aria la Montecatini per vendicare l'incidente minerario di Ribolla del 1954 in cui perirono 43 lavoratori. Alla fine rimane inglobato nel sistema di cui diventa anche lui una pedina, ma non riesce a integrarsi totalmente, odia tutto e tutti, rimpiange il paesello e i suoi rapporti umani dove ha lasciato anche moglie e figlio (e pur tuttavia non si fa nessun problema ad andare a convivere con una donna che conoscerà a Milano) Non mi piace l'astio con cui descrive categorie di lavoratori e lavoratrici "le segretariette secche, senza sedere, inteccherite da parer di sale, col visino astioso e stanco." Non mi piacciono le numerose citazioni erudite che interrmpono continuamente la narrazione, non mi piacciono i numerosi "toscanismi" utilizzati. Non mi piace neanche la Milano che descrive, io non posso credere che fosse davvero una città così fredda e disumana. Si dice che la vita agra sia il primo romanzo italiano sulla contestazione, su quei germi che in seguito si sarebbero sviluppati negli anni di piombo. Ecco credo che in questo ci sia qualcosa di vero e si capisce che lo scopo del terrorismo tutto sommato era solo quello di distruggere la società sorta dalle rovine del dopoguerra col miracolo economico, non di migliorarla.

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